Le crepe valorizzate

Le crepe valorizzate

Le crepe valorizzate – Massimo Coero Borga – 07 gennaio 2020

Tutti abbiamo delle crepe, delle ferite dentro di noi. Queste ferite, se non “guarite, sanguinano e sono delle porte aperte al male, che può così avere autorità nella nostra vita. Ci converrà, quindi, far venire fuori qualcosa di bello da esse, nella certezza che se le affidiamo a Dio, sicuramente ne verrà fuori qualcosa di prezioso, come ci dice la Parola di Dio: Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno (Rm 8,28).
Trarre il bene dal male, il bello dal brutto, proprio come nell’antica arte giapponese del Kintsugi: le cicatrici d’oro.
In Giappone, quando un oggetto in ceramica si rompe, lo si ripara con l’oro, perché un vaso rotto può divenire ancora più bello di quanto già non lo fosse in origine.

È capitato a tutti un momento di distrazione e, l’oggetto in ceramica che ci era tanto caro, cade rovinosamente a terra e si rompe. Stupore, incredulità, dispiacere, poi, con rassegnazione raccogliamo i cocci e li buttiamo, seppure a malincuore, nella spazzatura, oppure li conserviamo racchiusi in una scatola. L’idea di provare a ricomporre ciò che è andato in frantumi magari ci sfiora, ma poi ci mettiamo una pietra sopra, perché convinti che un vaso rotto non potrà mai tornare come prima. Questo è ciò che accade, solitamente, in Occidente.
In Oriente invece, per la precisione, in Giappone, quando un oggetto in ceramica si rompe, lo si ripara con l’oro, perché un vaso rotto può divenire ancora più bello di quanto già non lo fosse in origine. La tecnica di riparare gli oggetti in ceramica, si chiama kintsugi, che significa: “kin” (oro) e “tsugi” (riunire, riparare, ricongiungere), letteralmente, “riparare con l’oro”.
La tecnica kintsugi, evidenzia le fratture, ma al contempo, le impreziosisce aggiungendo valore a ciò che si ripara.
Questa tecnica è stata inventata intorno al XV secolo, quando uno “shogun”, titolo attribuito nell’antico Giappone ai capi delle spedizioni belliche, dopo aver rotto la propria tazza da tè preferita, la inviò in Cina per farla riparare. Purtroppo le riparazioni all’epoca avvenivano con legature metalliche poco precise. La tazza sembrava perduta, ma il suo proprietario decise di ritentare la riparazione affidandola ad alcuni artigiani giapponesi, i quali, sorpresi dalla tenacia dello “shogun”, nel volere riavere la sua amata tazza, decisero di provare a trasformarla in un gioiello riempiendo le crepe con resina laccata e polvere d’oro.
Il racconto è plausibile, perché colloca la nascita del kintsugi, in un periodo molto fecondo, in Giappone, per l’arte, infatti, in quel periodo si sviluppò un movimento culturale, che diede origine alla cerimonia del tè (via del tè), all’ikebana (via dei fiori), al teatro e alla pittura con inchiostro cinese.
La tecnica kintsugi, evidenzia le fratture, ma al contempo, le impreziosisce aggiungendo valore a ciò che si ripara. Il risultato è sorprendente: il manufatto rimane striato da linee d’oro che lo rendono diverso, pregevole e prezioso. La ceramica prende nuova vita attraverso le linee delle sue “cicatrici” impreziosite!
Il kintsugi suggerisce messaggi e paralleli suggestivi: non si deve buttare ciò che si rompe, perché la rottura di un oggetto non ne rappresenta la fine, ma si deve tentare di recuperarlo; le sue fratture possono diventare preziose.
C’è anche una delicata lezione simbolica, che l’antica arte giapponese del kintsugi, ci suggerisce, quella di accogliere il danno, le offese che causano le fratture e di non vergognarsi delle ferite che ognuno di noi può portare dentro di sé. La filosofia che è alla base del kintsugi, sottolinea che la vita non è composta solo di perfezione, ma anche di rottura e, come tale, va accolta. Una vera e propria metafora della vita, infatti, a chi non capita di subire rotture e ferite nel corso del proprio cammino?
In Occidente culturalmente si fa fatica ad accettare, a diventare consapevoli e a fare la pace con le proprie crepe, tanto del corpo, quanto dell’anima. Le ferite, le spaccature e le fratture sono percepiti come fragilità, imperfezione, additati e colpevolizzati: se è rotto è colpa di qualcuno. Se è rotto và buttato, o nel caso di una persona ferita, viene allontanata.
In Occidente culturalmente si fa fatica ad accettare, a diventare consapevoli e a fare la pace con le proprie crepe, tanto del corpo, quanto dell’anima.
Nella cultura orientale, invece, la vita porta insieme pienezza e rottura, ri-composizione e costante mutamento. Così, anche per le persone che hanno sofferto ed hanno ferite nel corpo e nell’anima è possibile valorizzare le proprie cicatrici acquistando una nuova bellezza e preziosità.
La sofferenza è parte della vita, se impariamo a sentirla e a riconoscerla, c’insegna, che siamo vivi; se poi è accolta, ci cambia, ci rende a volte più forti, a volte più saggi. In tutti i casi lascia un segno.

Elaborare una ferita è un procedimento lento, che necessita cura, pazienza e amore, ma garantisce risultati imprevisti e bellissimi, può rivelare aspetti nascosti, forme nuove e affascinanti.
Si scopre, così, che da un’imperfezione, da una crepa, può come per magia, nascere una forma nuova, unica, di perfezione estetica. Proprio come le nostre vite. Le persone che hanno sofferto possono diventare ancor più preziose. D’altronde, anche le perle nascono dal dolore, dalla sofferenza di un’ostrica ferita da un predatore, o da una lesione cicatrizzata.
I giapponesi che hanno inventato il Kintsugi lo hanno compreso più di sei secoli fa e lo ricordano sottolineandolo con l’oro. Pensate ancora che le ferite vadano nascoste? O sarebbe meglio, farle risplendere, proprio come si fa con l’arte del Kintsugi?
suor Maria Luisa Casiraghi
(https://missionariedellaconsolata.org/2017/03/24/kintsugi-le-cicatrici-doro/)

Cristo è per noi, l’esempio per eccellenza di qualcosa che da “rotta”, è stata colmata d’oro, dalla gloria di Dio padre, ed è risorto. MORTO e RISORTO (soprattutto): il Crocifisso Risorto.
Vediamo ora alcuni passi biblici dei vangeli sinottici che parlano proprio del “crocifisso risorto”.

Mt 16,21   Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Mt 17,23    e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati.
Mt 20,19    e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà».
Mc 8,31Mc 9,31Mc 10,34 –  Lc 9,22 –  Lc 18,33 –  Lc 24,7.

Qui, per ben tre volte in ogni vangelo, c’è una profezia di morte e risurrezione. Non c’è una volta in cui si parli di morte – di un male che avverrà – senza profetizzare anche la risurrezione, cioè, il buon esito. La Parola di Dio ci fa quindi comprendere che se vogliamo diventare dei vasi preziosi, dalla nostra bocca non deve mai uscire niente di male senza che ci sia la soluzione dopo.
Guarda una “croce” – e ricorda che la croce non è una disgrazia, una malattia, un disastro economico ecc.., ma è il modo di affrontare una situazione in cui si mette a morte la nostra parte carnale, il pensiero “del mondo” per pensare e agire come agirebbe Dio – E PENSA A UN “PREMIO” (Soluzione – Resurrezione). All’inizio si fa un po’ fatica perché la nostra mente dice: “tanto è così”. Bisogna chiedere avendo già davanti la soluzione.
E disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno (Lc 24,46).
Non dobbiamo più vergognarci dei nostri fallimenti o delle nostre situazioni di insoddisfazione, di prova… ma dobbiamo innanzitutto prendere atto della situazione che stiamo vivendo e credere che in quella stessa situazione c’è un’opportunità. Quell’opportunità viene da Dio. Significa mettersi nelle Sue mani, essere disponibili a farci riempire con il Suo oro, lasciarci amare e lasciarci trasformare da quell’amore che a sua volta sarà l’oro che trasformerà la nostra vita, che entrerà in quella situazione di morte, vivificandola.

Quando Gesù, dopo essere risorto, si manifestò ai suoi discepoli, fece vedere le ferite, ma guarite, non più sanguinanti. I discepoli lo hanno riconosciuto proprio grazie alle ferite. La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20,19-20).
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,24-25).
Tommaso non dice: “devo vedere un suo miracolo”, ne aveva visti tanti di miracoli nella sua vita. Per capire che fosse proprio lui, voleva vedere le sue ferite. Le altre cose potevano farle tutte, anche i maghi, ma quelle ferite poteva averle solo Lui. Lì, proprio in quelle ferite c’è l’oro, il segno della regalità di Dio che l’ha risuscitato dai morti.

Nei segni sul corpo di Gesù c’è la nostra guarigione. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53,5).
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti (1Pt 2,24).
Così come Dio… Ora andiamo a noi. La potenza che dà vittoria (valore).
E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi (Rm 8,11).
Qui è contenuta una doppia profezia: così come è accaduto a Gesù, la potenza dello Spirito Santo potrà trasformare le situazioni di morte in vita anche in noi. Confesso la mia debolezza, la mia piccolezza, ma professo anche la Sua onnipotenza. Non si deve parlare di ferite se non si capisce che c’è l’opportunità di guarigione. Allo stesso modo, quando preghi, devi imparare a vedere la risurrezione anche se stai vivendo una situazione di morte.

Le crepe, una volta valorizzate, danno vita. Solo chi ha sperimentato e capito il crocifisso, può presentare le crepe a Dio e fargliele valorizzare. Così anche noi poi diventiamo opportunità per gli altri, per aiutarli a valorizzare le loro crepe. Io stesso divento testimonianza, profezia della vittoria di Cristo in me.
Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio. (2Cor 1,4). Non c’è crepa dove il Signore non possa arrivare.
Il vaso valorizzato può essere sistemato, come abbiamo visto con l’oro, oppure fatto nuovo (di nuovo).
Questa parola fu rivolta dal Signore a Geremia: «Àlzati e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola». Scesi nella bottega del vasaio, ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli riprovava di nuovo e ne faceva un altro, come ai suoi occhi pareva giusto (Ger 18,1-4).
Le nostre parole dovrebbero sempre seguire l’immagine. Dobbiamo quindi imparare a creare quello che sembra impossibile e a proclamarlo. Dobbiamo per far questo, esercitare la fede.

Anche quando veniamo ricostruiti diventiamo diversi da prima. Il Signore fa un progetto nuovo in questo nuovo stato. La tua situazione non toglie la possibilità a Dio di ricostruire. Dio può o riparare con l’oro oppure fare un altro progetto nuovo. Dove sembra finita, può essere per noi un nuovo inizio, “molto più di prima”.

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Comments (3)

  • Ilaria Carrara rispondere

    Che bello vedere che c’è un seme di Dio in tutto il mondo, e che se sappiamo guardare con occhi “cristiani”, tutto ci parla di Lui… se sapremo accogliere i nostri limiti e le nostre ferite, ma soprattutto ci metteremo nelle mani di Dio per permetterGli di ripararci, saremo davvero un’opera d’arte, come Lui ci ha pensati e come da sempre siamo predestinati ad essere… e se il male avrà cercato di distruggere, di allontanarci dall’essere “a immagine e somiglianza di Dio”, tutto gli si ritorcerà contro, perché come la tazza della leggenda saremo addirittura più belli di prima!
    Bellissimo, grazie Massimo!

    01/04/2020 a 13:04
    • Massimo Coero Borga rispondere

      Difficile da fare perchè emerge la nostra paura di farci vedere deboli e bisognosi. Se invece troviamo il coraggio di “questa semplicità” davanti a Dio, allora siamo liberi dai limiti e vediamo la grazia in noi e fuori. Dio vuole valorizzarci proprio dove noi (e gli altri) ci svalorizziamo. Quanta guarigione in Gesù.

      01/04/2020 a 16:21
  • Francy87Milano rispondere

    Gesù Sei l autore della vita mia, il mio cuore lo sa già….io stato con Te tutta l eternità.

    01/04/2020 a 13:14

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