Mio Dio, pensaci Tu perché io non ce la faccio

Mio Dio, pensaci Tu perché io non ce la faccio

Ciao Massimo, come promesso, vorrei portare la mia testimonianza di come Dio, attraverso di te, mi abbia letteralmente salvata.

Partiamo col fare una panoramica della mia vita prima di quel giorno di febbraio o gennaio (non ricordo esattamente) del 2020 in cui ho ricevuto una grandissima grazia!

La mia fede in Dio c’è sempre stata ma, come si suol dire, era una fede “della domenica”: quando non avevo impegni e avevo voglia, andavo a messa. 

Non sono mai entrata in situazioni di droga, alcool, dipendenze o in giri strani di New Age o simili. Il mio problema, però, erano le tantissime ferite che si trovavano dentro di me. 

Sono la quarta figlia di una famiglia numerosa, figlia non cercata e non voluta (mi è stato detto che mia madre voleva buttarsi nel lago quando ha saputo di essere incinta di me, perché disperata, essendo l’unica a lavorare e a mantenere la famiglia). Mio papà c’era ma aveva problemi di salute e non lavorava, ma aveva una pensione di invalidità, al tempo della mia nascita. 

Le mie sorelle erano tutte molto più grandi di me. 

Ci siamo trasferiti in un paese diverso da quello in cui siamo nati, nel Veneto e, a quel tempo, se eri un “forestiero”, venivi emarginato, così tanti bambini mi hanno sempre presa in giro. 

Emarginata a scuola, di amiche ne avevo poche, l’educazione familiare e la condizione economica non mi permettevano di fare le uscite che facevano gli altri ragazzi della mia età; pertanto, questo mi ha portato a un progressivo allontanamento dagli altri coetanei. 

All’età di 12 anni ho subito un tentativo di violenza da parte di un mio cugino. Mio padre non credeva a me e mi ha fatto dire che mi ero inventata tutto. Non vi dico le ferite del cuore.

Da allora nessuno mi poteva toccare, neanche il mio compagno, in certe situazioni. Ho fatto un percorso psicologico per un anno, per usare una metafora: “pensavo di essere arrivata con una valigia con dentro una bambola ma una volta aperta c’era dentro il mondo”. Piano piano esco e supero questa situazione. 

La provvidenza mi fa incontrare mio marito all’età di 16 anni e a 24 anni mi sono sposata. E questo mi ha salvata, è stata la provvidenza divina. Lui era più credente di me, inizialmente. 

Cerchiamo un figlio e dopo un anno e mezzo di tentativi arriva la mia bimba, la desideravo con tutto il cuore e mi ero ripromessa che mai e poi mai avrei fatto gli errori dei miei genitori (parole, mancanza di rispetto e di amore tra coniugi e figli). 

La situazione economica non mi permetteva di poter stare a casa in maternità facoltativa, avendo appena acceso il mutuo per la casa e avevo chiesto di poter lavorare da casa, ma le mie colleghe non volevano e così si misero in mezzo per non farmi ottenere l’opportunità (cosa che invece ora loro si stanno godendo tranquillamente con le loro figlie, grazie allo smart working da Covid). Questa cosa mi pesa ancora molto nel cuore e faccio fatica a perdonare. 

Rientro in ufficio ma non ho più una scrivania, dopo 8 anni di insegnamento del lavoro, per aver “fatto un figlio”, mi trovavo a dover sperare che mancasse qualcuno per potermi sedere, facevo fotocopie e scansioni.

Decido di frequentare una scuola serale, la situazione è pesante, tra la bimba di pochi mesi e il lavoro, lo stress era alle stelle. Mi viene riscontrato un forte stress da lavoro e quando rimango finalmente incinta del secondo bambino, mi viene subito riconosciuta la maternità a rischio. Posso rilassarmi e stare con la mia bimba per un po’. 

Nasce Il mio secondo figlio, ma a 14 giorni di vita, quella notte del 29 marzo 2012 succede qualcosa che non auguro a nessuno. 

Il bambino inizia a piangere forte, io, che non avevo mai avuto esperienze di coliche con la sorella, penso ad una colica. Il giorno successivo (29 marzo, appunto) porto la sorella dal pediatra per un’otite (dopo 3 anni di otiti, quella fu l’ultima volta) e per l’occasione portai con me anche il fratellino. 

Vedevo la pediatra che visitava il piccolo, visto che era lì, e inizia a chiamare e a confrontarsi con una sua collega, poi mi prepara una carta e mi dice di recarmi al pronto soccorso della terapia intensiva neonatale di Trento. Il bambino era tachicardico, ma non mi disse nulla di più. Io non sapevo cosa stesse succedendo, ma dentro di me sentii la terra mancare sotto i piedi e aprirsi in un vortice. Chiamai i miei suoceri per venire a prendere la sorellina e chiamai mio marito per dirgli di venire in ospedale perché qualcosa non andava. 

Sono trascorsi 11 anni ma me lo ricordo come se fosse ieri: il mio piccolo attaccato a un monitor che indicava 270 battiti al minuto. La dottoressa mi disse che dovevano in qualche modo abbassare quel battito, ma che non aveva risposto alle manovre vagali né alla cardioversione elettronica, rimaneva solo come ultima speranza la terapia farmacologica. Ci disse di andare a casa, che sarebbero trascorse ore prima di sapere se la terapia avrebbe funzionato o meno e che rimanere lì non sarebbe servito a nulla. 

A quel punto, sempre più travolti nella voragine della terra, ci avviamo verso casa (30 km da lì), e chiedo a mio marito di fermarsi dalla Madonna di Montagnaga (alla quale avevo chiesto la grazia di farmi avere i miei figli).

Feci una richiesta (voto) alla Madonna, “dai a me tutto ciò che dovrebbe passare mio figlio, ma salvalo!”

La sera tornai e mi dissero che per fortuna dopo quattro ore il piccolo “era tornato” e stava rispondendo bene alla terapia. 

Quella sera io dormii nell’alloggio delle mamme, il mattino seguente, ebbi una fortissima emorragia che pensavo fossero le perdite post-parto, così mi ricoverano. Ogni dodici ore, per un anno, dovevo dare a mio figlio un farmaco salvavita, e con un controllo della frequenza cardiaca per tre volte al giorno. 

Ricordo ancora quando mi dissero, nel cuore della notte: “potrà avere una vita normale, ma sappia che dovete essere vigili, perché il bambino potrebbe stare bene ora ma tra 5 minuti stare male e questo era pericolosissimo, soprattutto nei neonati, che non sono in grado di parlare (solitamente questo porta alle “morti bianche”). 

Nel frattempo, la sorellina – che poverina aveva 3 anni e mezzo a quel tempo – vedeva la mamma sempre correre di qua e di là. 

Torniamo finalmente a casa dopo dieci giorni di ospedale, dove scopro alle dimissioni, che mio figlio aveva avuto uno scompenso cardiaco e mi rendo conto della gravità di cosa era realmente accaduto. 

Torno a casa e dopo quattro giorni ho di nuovo una brutta emorragia, ero nella vasca da bagno con mia figlia, quando la vasca è diventata rossa, chiamo mio marito per prendere la bambina, mi portano via in ambulanza, mi stavo dissanguando. Mi hanno chiuso l’arteria uterina e fatto quasi tre sacche di trasfusione di sangue. 

Arriviamo alla fine di maggio, il 13 o 14, non ricordo, so che era il giorno della Festa della mamma, e i ladri entrano in casa in pieno pomeriggio, per fortuna non c’era nessuno in casa. 

Trascorre quasi un anno e avevo giusto pensato: “è quasi un anno che non succede più nulla”, era il 20 novembre del 2013 quando, andando al lavoro, ho avuto un brutto incidente in macchina. Ho investito una bambina che era passata dietro il pullman.

La situazione è gravissima, io, per cercare di evitarla, sono uscita di strada andando contro un palo. Secondo i medici la bambina non doveva neanche arrivare in ospedale. Io ero sotto shock, sedata e controllata a vista, se fosse successo qualcosa non avrei potuto vivere con questo tormento, neanche il pensiero dei miei figli mi dava la forza di andare avanti, per 20 giorni tutto il paese faceva le corone di preghiera per lei e per me.  Ogni volta che suonava il telefono era un colpo al cuore, la mia piccolina, che all’asilo sentiva parlare delle “dinamiche dell’incidente”, stava seduta sulle ginocchia del papà e diceva che doveva proteggere la sua mamma, povera cucciola. 

Finalmente arrivò la telefonata che diceva che era fuori pericolo. Fui salva anch’io. Quel giorno, molte famiglie furono salvate per grazia di Dio.

Pochi giorni dopo, una famiglia andò a Lourdes e mi chiese una foto della mia famiglia, la immerse nell’acqua. Io mi sono svegliata una mattina e ho iniziato a scrivere per ore, avevo un progetto da realizzare a casa mia, un Bed&Breakfast per le famiglie. Avevo a disposizione una sola camera, ma subito iniziammo a lavorare per adeguare il tutto.

Sentivo che dovevo qualcosa a Maria e a Dio, così decisi di diventare catechista per trasmettere l’amore e la fede, glielo dovevo! 

La situazione lavorativa era sempre più difficile, nel 2017 prendo finalmente la decisione di lasciare il lavoro d’ufficio per occuparmi del B&B (che era aperto comunque saltuariamente e seguiva il calendario scolastico) ma, soprattutto, per stare con i miei bambini. Inizio un’esperienza di consulente di viaggi, il lavoro va molto bene, ma nel 2019, dopo l’ennesima ferita subita da coloro che si definivano “amici”, iniziai a entrare in depressione, stando sempre peggio, fino ad arrivare a scrivere una lettera per dire “addio”. 

Il B&B rimase aperto fino a dicembre 2021 quando, a causa del Covid, delle esigenze familiari e delle bollette stratosferiche, ho deciso di chiuderlo. Si era concluso così un capitolo della mia vita, un capitolo stupendo, che aveva sanato in me le ferite del non essere accettata e adeguata, del sentirmi un’incapace ma, soprattutto, in quel momento così delicato della mia vita, mi aveva dato qualcosa per cui occupare la mente. La sapiente provvidenza proseguiva nel guidarmi nella realtà giornaliera.

In questo mio stare male, ci fu una mia amica che da un paio d’anni mi diceva di andare con lei a Verona da un certo Massimo, di partecipare a uno dei suoi incontri di preghiera. 

Io tentennavo, trovavo sempre delle scuse, non avevo voglia di stare tutto un pomeriggio in preghiera (“che noia”, pensavo, non avevo nulla contro Dio, ma mi sembrava di non poter sopportare un momento così lungo, pensavo di annoiarmi); finché arrivò quel giorno di gennaio o febbraio 2020 e risposi finalmente “sì” alla chiamata di venire da te Massimo al Crocifisso Risorto. 

La mia amica mi disse che lei si sarebbe seduta davanti ma che io, se avessi voluto, avrei potuto starmene tranquilla in un angolino più appartato della sala (eravamo nel vecchio punto di ritrovo). 

Iniziano i canti e pensavo: “che esaltati questi” ma, contemporaneamente, ero molto affascinata, fino a che le mie braccia non iniziavano piano piano ad alzarsi e cominciai a cantare anch’io. 

Ad un certo punto, ho visto nella mia mente il volto di Gesù, ho detto: “mio Dio, io sto male, ho moltissima rabbia dentro di me e tanto dolore, pensaci Tu, perché io non ce la faccio”, in quel momento inizio a sentire un dolore fisico alle costole, mi tocco e sento un dolore forte, ma non ero spaventata, avevo capito che Dio stava agendo, la sensazione provata era quella di subire un’operazione al cuore: da allora la rabbia se n’è andata – Dio aveva già operato! 

Durante il momento di preghiera carismatica che è seguita subito dopo, avevo gli occhi chiusi, ero completamente assorta, quando sento una mano sulla mia guancia sinistra e io mi attacco a questo braccio, buttando fuori tutte le ferite e la disperazione che avevo dentro. Apro gli occhi e vedo te Massimo, che con gli occhi chiusi mi poggiavi la mano sulla mia guancia ma, perdonami, la mano che sentivo in quel momento non era la tua, ma era la mano di DIO. Tu stesso stavi dicendo profeticamente “TU SENTI LA MANO DI DIO”, hai detto tantissime parole per me in quel momento che ora non ricordo, ma il mio cuore se le ricorda: “Senti la mano di Dio che ti sta guarendo, che è vicino a te ecc..”, ho aperto gli occhi e tutti gli altri avevano gli occhi chiusi, compreso tu.

A fine incontro io sono venuta da te, avevo una domanda da farti, anche se sapevo già la risposta, avevo bisogno di sentirmelo dire, così ti chiesi: “Perché io? Non sapevi nulla di me, non mi conoscevi né conoscevi la mia storia, eppure tu sei venuto lì”. Tu mi risposi “PERCHÈ DIO MI HA DETTO DI VENIRE DA TE E DI DIRTI CHE NON SEI SOLA E CHE TI DEVI VOLERE PIÙ BENE”. 

Sono guarita dalla depressione, anche se ogni tanto il nemico cerca di bussare, ma ho scoperto un amore grande, grandissimo. 

Ho trascorso il periodo del Covid in modo sereno sapendo e percependo la continua presenza del Signore. Io stavo in giardino, guardando il cielo, e dicevo: “Dio, questo è il tuo momento, ora noi dobbiamo solo stare in disparte”. Pace e serenità erano nei cuori della mia famiglia. 

Da allora ho imparato a leggere e a parlare con Dio e Maria e a interpretare i loro segni e la mia fede è in crescendo.

Purtroppo, il male presente nella società si era avvicinato parecchio a mia figlia, che è già fragile e vulnerabile per via di tutto ciò che ha subito, ma grazie a voi che mi avete permesso di poterla portare a Medjugorje, sono certa che piano piano le ferite presenti anche in lei, saranno sanate perché Dio può e vuole prendersi cura di tutti.

Dopo tutto questo papiro Massimo, non mi rimane che dirti un grandissimo GRAZIE! Grazie per il tuo AMEN che permette ancora oggi a molti di sperimentare la potenza e la misericordia di Dio.

Un abbraccio e grazie di tutto. 

A.

Condividi questo post